Una
pentola a pressione, per quanto grossa sia, avra’ sempre bisogno di una
valvola di sfogo, un minuscolo forellino che non la faccia esplodere
nei momenti di maggior spinta… a volte io mi sento quella pentola, vedo
la citta’ che non ti lascia scappare, l’organizzazione del mondo umano e
anche upiede che genera gabbie invisibili e limiti invalicabili. Cosi’
un cuore incerto scansa la bellezza istituzionale e cerca solitudine o,
al massimo, i propri simili, cerca esempi di sopravvivenza nonostante
tutto. Mi aggiro per la periferia vicina al parco Chico Mendes, un
cartello indica che da li’ inizia la terra di tutti e di nessuno, le
case continuano ma si vede che la zona ha vissuto di campagna fino a
tempi molto recenti. L’immancabile ferrovia passa sopra il fiume, si
scorgono i binari solo salendo sulla staccionata in cemento abbattuta
dai maratoneti che bazzicano per passare ai parchi di Venaria e qui,
lungo un percorso fatto di terrazzini impervi e nascosti, sono nati in
operoso silenzio gli Orti Urbani Abusivi. All’inizio non si percepisce
quasi nulla, un tutt’uno senza soluzione di continuita’ con l’estetica
dei lungoferrovia o dei lungofiume e recentemente dei lungotangenziale,
principalmente sono erbacce sporche e secche, piccola spazzatura gettata
dai finestrini o portata dal vento, avanzi metallici di lavori in
corso, clinex lasciati da coppiette su auto in cerca di luoghi
appartati. In un appartamento robaccia cosi’ non entrerebbe ma, per un
coltivatore di Orto Urbano Abusivo, costituiscono la base di
sopravvivenza della piccola non proprieta’. Cosi’ imbocco un sentierino
in terra battuta su cui si susseguono prati coltivati a segale, un po’
piu’ in qua della ferrovia, troppo in la’ per i condomini. Sono
striscioline giallo marroni che resistono grazie alla fantasia dei
contadini metropolitani attraverso un linguaggio omogeneo e romantico.
Le recinzioni sono vecchie reti metalliche, pezzi di tapparelle di
plastica miste a rovi di rose potati, lastre di eternet, ante di armadi
della nonna. Non c’e’ recinzione che non abbia il suo catenaccio con
lucchetto rigorosamente ossidato, insomma una sua conferma di privato.
Tenera affermazione perche’ basterebbe una spinta o una piccola
acrobazia per scavalcare ed entrare.. l’Orto Urbano Abusivo e’ ben
protetto ma violabile in qualsiasi momento, quasi una dichiarazione di
complicita’ con gli estranei…Oltre le reti affiorano terre ingrate ben
zappettate, ciuffi di insalatina, cavoli, cipollotti, giardini bonsai di
fiori colorati, qualcuno ha persino tirato su una piccola serra con i
teloni di nylon. Sembrano arredati tutti dallo stesso designer e non
c’e’ assolutamente nulla di nuovo, luccicante o appetibile.
Semplicemente avanzi della citta’ recuperati e rimessi in ordine, ma
alla portata di tutti, basterebbe fare quattro passi lungo la ferrovia
per trovare gli stessi articoli, l’apologia delle bottiglie di plastica
che diventano vasetti, tappi, imbuti, addirittura spaventapasseri. Mi
perdo nel sorriso imbalsamato di uno scopetto verde, messo di guardia a
quattro cavolfiori. Bello girare in mountainbike vero? Siete mai stati
nei caselli abbandonati? alla prox ricerca..