A
Napoli al ristorante ho ordinato "una braciola" e quando mi sono visto
arrivare un involtino in umido ho chiesto al cameriere "ma io avevo
chiesto una braciola..." e quello mi ha risposto "e questa cos'è?".
Comunque l'ho mangiata ed era una meraviglia, buona come poche altre
cose che ho mangiato.
A
Napoli alla cassa del bar ho visto una scatola di vetro piena di
cioccolatini a forma di bacio Perugina, incartati nella carta stagnola
uno per uno, ho chiesto "ma sono Baci?" e la signora mi ha risposto "certo che sono baci, li facciamo proprio noi!" ed erano buonissimi.
A
Napoli sono entrato in una tavola calda, saranno state le quattro del
pomeriggio, volevo prendere qualcosa da riportare a mio figlio prima di
ripartire, ma avevano finito tutto. Ho chiesto "avete qualcosa di
pronto?" il marito della cuoca mi ha risposto "e che problema c'è,
glielo prontiamo". Poi è uscita la cuoca e mi ha detto "le faccio una
frittata di maccheroni, qualche crocché e un po' di pasta cresciuta,
vabbuò?!". Io le ho detto "ma quanto tempo ci vuole?" e lei ancora "e
che fretta avete, vi sedete qui e vi fate compagnia con mio marito, vi
bevete una birra intanto che aspettate"
E
dopo una mezz'ora io conoscevo tutta la storia della famiglia, fino a
quell'infame di uno dei cugini, che San Gennaro gli faccia uscire uno
sbocco di sangue. Marcio.
In
compenso la roba era buonissima e m'è sembrato che si facessero pagare
per farmi un favore, perché pareva mi volessero regalare tutto.
A
Napoli ho mangiato una cosa che si chiama "genovese" e l'ho digerita
dopo tre giorni, cioè no, a digerire l'ho digerita subito, è che dopo
tre giorni ancora mi pareva di averne qualche pezzetto sulla barba per
come mi sentivo avvolto dal profumo.
A
Napoli mi hanno servito un caffè con le tazzina che mi scottava le
labbra e non ho dovuto manco chiedere il bicchiere d'acqua, perché me
l'hanno messo davanti direttamente insieme al caffè, però il barista non
si fidava, aveva sentito l'accento romano e voleva vedere se l'acqua la
bevevo prima o dopo il caffè, pareva che trattenesse il fiato per
l'ansia. Quando ha visto che l'ho bevuta prima ha sorriso e io mi sono
sentito come se avessi superato un esame all'università.
A
Napoli sono andato a pranzo con due amici napoletani e hanno ordinato
"pasta e patate" e poi momenti si scannano perché uno diceva "la provola
ci vuole" e uno diceva "la provola non ci vuole" e io stavo zitto e
temevo che alla fine mi menassero a me. Ma quando è arrivata la mia
pizza con i friarielli hanno fatto pace e mi hanno fatto tutto un corso
su come va preparata, in che punto del forno va messa perché si cuocia
bene, come la ricotta debba fare da ripieno del cornicione, cose così.
(La pizza era squisita e pure la loro pasta e patate, che per la cronaca
la provola c'era).
A
Napoli ho mangiato il casatiello e i ciccioli, una parmigiana di
melanzane che quando ho chiesto "ma le melanzane come sono cotte?" mi
volevano cacciare dal ristorante e farmi girare con un cartello
attaccato al collo con scritto "ha chiesto come sono cotte le melanzane
della parmigiana!". Ho scoperto che le ciambelle con lo zucchero le
chiamano "graffe" e guai pure quelle se ti azzardi a dire "ma sono cotte
al forno?". Ho scoperto che le sfogliatelle e le ricce sono due cose
diverse, ma comunque se vuoi mangiare quelle più buone devi andare in un
forno che sta a "vico Ferrovia" che se gli passi davanti non gli
daresti una lira. Perché a Napoli quello che ti mangi conta più di dove
lo mangi.
A
Napoli ho capito che mangiare è una religione, ha i suoi riti e le sue
cerimonie, è un atto sacro e mangiare da soli è triste, e se stai al
tavolo da solo il cameriere si preoccupa e ti viene a chiedere dieci
volte "come va? come state?" e dopo viene pure la padrona del ristorante
e poi pure suo marito e ti mandano pure i figli, perché tante volte
dovessi sentirti triste, non sia mai, come te lo gusti il mangiare?
E poi mi dite perché amo Napoli? Ma come fate voi, a non amarla. Come.