venerdì 29 dicembre 2023

Solstizio a Torino.

 


Questa foto è stata fatta nel Salone delle Guardie Svizzere di Palazzo Reale, in attesa dell’equinozio d’autunno che cadrà il 23 settembre 2023 e si tratta

Dell’antica linea meridiana collocata in diagonale sul pavimento, lunga circa dodici metri, che fu commissionata dai Savoia.

Attraverso un foro praticato nella parte superiore della parete sud, accanto alla finestra centrale, un tempo i raggi del sole proiettavano la luce sulla linea “in meridie”, ossia al mezzogiorno locale.
L’immagine luminosa, visibile a terra, fa rientrare l’opera nella tipologia denominata “a camera oscura”, a differenza dalle meridiane verticali, funzionanti con l’ombra proiettata da uno gnomone.

Risultato di complessi calcoli matematici e astronomici, il raro strumento di Palazzo Reale può essere datato alla seconda metà del Seicento, ma fu distrutto due secoli dopo.

Negli anni è, invece, sopravvissuto il foro, seppure modificato nelle sue dimensioni, fino all’attuale riscoperta, al recente studio e alla sua parziale ricostruzione.
La riproduzione temporanea, collocata per la prima volta sul pavimento del Salone dal 22 al 24 settembre 2023, è il risultato dei calcoli scientifici e del rilievo laser scanner elaborati dall’architetto Fabio Garnero di Solaria Opere S.a.S. e da Mauro Luca De Bernardi, già docente del Politecnico di Torino, con la collaborazione di Marco Roggero dello stesso Istituto.

La linea è realizzata con una stampa su Dibond e può essere considerata un vero gioiello, completa di datario, mesi, giorni e segni zodiacali tratti da una tavola miniata contenuta in un Portolano cinquecentesco conservato in Biblioteca Reale.
A ogni solstizio ed equinozio si potrà assistere all’affascinante viaggio del sole all’interno della prima reggia italiana dei Savoia.

giovedì 28 dicembre 2023

Aurelio Quaglino Scultore.

 

 Post a ricordo del nonno di mia nuora Anna...

Aurelio Quaglino (Torino, 1910 – 1998), mostrate precoci dori artistiche sin dalla tenera età, si forma all’Accademia Albertina di Torino, dove ha come insegnante Edoardo Rubino (1871-1954).

Quest’ultimo, intorno alla fine degli anni Venti, coinvolge il suo allievo nella realizzazione di numerosi monumenti in aerea torinese, ad esempio Il faro della Vittoria, sul Colle della Maddalena.

Dopo queste prime, importanti esperienze al fianco del maestro Rubino, Aurelio Quaglino si inoltra in una personalissima lavorazione del marmo, che presenta alcuni tratti specifici, come la dimensione quasi sempre monumentale, la componente emotiva e spirituale e una sensibile attenzione alla resa naturalistica, seppur attraverso una scelta sintetica e lineare.

La scultura in area piemontese e lombarda

Da questo punto di vista, lo scultore torinese potrebbe essere inserito tranquillamente nella tradizione plastica di fine ottocento, se non fosse per una trattazione veramente condensata e razionale delle superfici, che lo collegano direttamente agli sviluppi scultorei del ritorno all’ordine.

In effetti, sia nella lavorazione del marmo che del bronzo, il linguaggio di Aurelio Quaglino si basa sull’adozione di poche linee ascensionali che definiscono figure slanciate ed equilibrate, spesso richiamanti un primitivismo senza eccessi espressionisti.

Nel corso degli anni Trenta e Quaranta, l’artista partecipa alle Sindacali fasciste, ma soprattutto si dedica alla realizzazione di numerose sculture celebrative, in particolare nell’area del nord Italia. Inoltre, diversi sono i monumenti funerari che, nel Cimitero Monumentale di Torino recano la firma di Aurelio Quaglino.

Aviatori, atleti, figure esteticamente corrispondenti all’ideale fisico del regime fascista, ma anche teste di vittoria e ritratti di personaggi come il Re o Mussolini fanno parte della produzione di Aurelio Quaglino degli anni del regime, quelli più significativi della sua carriera.

In effetti, dopo la guerra, si esaurisce la carica creatrice dell’autore, che continua a dedicarsi alla scultura fino agli anni Novanta, ma mai ritrovando quel successo internazionale che lo aveva accompagnato negli anni Trenta e Quaranta, quando era riuscito ad esporre anche a Berlino, Monaco e Vienna. Muore a Torino nel 1997, ad ottantasette anni.

Aurelio Quaglino: la scultura celebrativa negli anni del regime

Tra le prime opere realizzate dal giovane Aurelio Quaglino, come collaboratore del suo maestro Edoardo Rubino, vi è il monumento Faro della Vittoria, nel parco della Rimembranza sul Colle della Maddalena.


La figura vittoriosa dal viso algido e ieratico ha ispirato sicuramente l’artista nell’elaborazione di una delle sue sculture più famose, la Vittoria armata, di cui espone lo Studio della testa alla Sindacale torinese del 1936, insieme alla Visitazione.

Attivo soprattutto in area piemontese ed in ambito fascista, Aurelio Quaglino aveva partecipato, nel 1932, alla I Mostra piemontese di Arte Goliardica, con il busto dello squadrista fascista Amos Maramotti, morto nel 1921.

Alla stessa mostra, ma nel 1933, presenta Il calciatore, che evidenzia l’interesse per l’esaltazione della perfezione fisica ed atletica, Lo squadrista, in terracotta rossa e un San Sebastiano, inteso in questo caso come protettore dei militi.

In particolare Lo squadrista presenta una lavorazione vibrante e nervosa, che trasmette il fremito dell’azione fascista e illegale e che mette in risalto la corporatura robusta e il viso assurdamente fiero. Il Ritratto del Re d’Italia e Imperatore d’Etiopia compare alla Sindacale torinese del 1937, mentre il Canottiere a quella del 1940.

Tra le opere funerarie del Cimitero Monumentale di Torino è da ricordare la Tomba Peccolo..



con un’aggraziata e sintetica figura femminile che ricalca l’immobile primitivismo della statuaria arcaica. 

Nel 1936, Aurelio Quaglino si occupa dell’esecuzione dell’Aviatore per un monumento pubblico sul lungolago di Desenzano del Garda.

Il volto dell’aviatore si spinge in avanti, lasciando dietro di sé una scia astratta e concreta allo stesso tempo, a sottolineare la velocità e il dinamismo del volo che spinge l’uomo al di là dei suoi limiti fisici.

 





Ecco altre opere di Aurelio Quaglino:














martedì 26 dicembre 2023

martedì 19 dicembre 2023

Spectrum Sinclair.

 

 


Il mio percorso informatico è iniziato grazie all'OM di MI che tramite mio padre allora dirigente della fonderia mi fece fare dopo aver scoperto che anziché studiare preferivo passare le giornate nel boschetto della Madonnina e a tutti gli effetti le ragazzine erano più allettanti delle materie scolastiche e la scuola di allora davvero non era interessante e quindi anche grazie a chi non si faceva i cazzi suoi, avvisò mia madre delle mie attività pratico-conoscitive sessuali e lei a sua volta avvisò mio padre che mi fece cambiare scuola e per tenermi sotto controllo passai alla scuola aziendale OM che si tenne dall'Antonio Pacinetti (tecnica), al Feltrinelli (perito elettrotecnico) ed infine al Pareto (laurea d'off.) in Suisse zona Mies-Friburgo.. in tutte queste scuole gli Allievi OM-Mi eravano più agevolati rispetto all'allievo normale ma anche i più tartassati per le graduatorie ed erano pure pagati (poco) in base ai risultati ottenuti e gli esami venivano eseguiti periodicamente ogni sei mesi, in cui gli ultimi due allievi in graduatoria generale venivano espulsi automaticamente dai corsi.. io nel bene e nel male ho salvato il culo e sono riuscito a completare gli studi, che mi son serviti per la carriera lavorativa.. unico vincolo era quello che se lasciavo l'OM il titolo di studio rimaneva di proprietà della ditta e si doveva rifondere alla stessa il costo dello studio e la cifra era enorme ed era alla pari di una donazione di un rene.. ciò non toglie che alcuni allievi trovarono convenienza andarsene e farsi assumere dalle Ditte concorrenti per ottenere subito uno stipendio alto ed inoltre le ditte si assumevano l'onere del rimborso studi riconoscendo i relativi titoli di studio conseguiti.. io non potei farlo in quanto mio padre aveva una posizione che mi impediva questi spostamenti ed eventualmente avrei parificato il titolo dando 12 esami al Poli..nota redattiva è che dal 1992 le lauree ottenute all'estero sono state parificate in Italia per scambi culturali senza mollare un ghello e senza frequenza alcuna.

Gli allievi OM scartati durante i corsi hanno fatto comunque strada occupando posizioni riguardevoli di Amministratori Delegati di società tipo Ibm e Marelli o altre che poi sono state inglobate in FIAT (tra cui anche l'OM) e a proposito di Ibm in qualità di programmatore avevo a disposizione un computer il cui ingombro era ubicato in un salone di 20 metri per 12 raffreddato sia in ingresso che in uscita e la potenza di questo computer era inferiori al più piccolo degli smartphone che ad oggi stanno in tasca ai bimbi della  3C. 

Cio' non toglie che la mia tesi a Friburgo. redatta sul sistema di come crackare le password delle reti wireless in ambito metropolitano (220 pagine copiate su Sata Disc da 5”1/4 9R 91517 della Xerox) sia valida ancora oggi. 

Devo cmq ringraziare l'OM che grazie al babbo, in prestito d'uso allora mi diede un portatile dal costo pari a 30 mensilità di un impiegato della max categoria. Detto computer lo conservo ancora in cantina e funge come allora. 

Però adesso salto qualche anno per arrivare all'acquisto di computer casalinghi e dal 1982 ho cominciato ad acquistare, cambiandoli di continuo e in cantina ne ho contati più di 40 gli altri 8 sono in casa, ma torniamo al discorso primi computer personali e si parla del 1982 quando come Coppi e Bartali si cominciò ad usare i:

 

Commodore 64 vs e ZX Spectrum.

Quello è stato il primo momento dove per la prima volta è stato possibile fare da casa quello che nessuno aveva mai fatto prima, ed era appunto il 1982, l'anno in cui vennero commercializzati due tra i primissimi home computer (o micro computer, come venivano chiamati): il Commodore 64 e lo ZX Spectrum.

In buona sostanza: due "scatole" di plastica che racchiudevano la scheda logica del computer e la tastiera e permettevano, una volta collegate al televisore di casa e a un registratore che fungeva da memoria di massa, di avere un set completo per tutto: programmare, giocare, studiare, persino collegarsi alle prime BBS (le la rete di bacheche online, antenate di Internet) previo acquisto di un costosissimo modulatore-demodulatore da accoppiare alla cornetta del telefono fisso di casa.

Certo, prima dell'americana Commodore (in realtà nata in Canada) con il suo C64 e della britannica Sinclair Research con il suo ZX Spectrum, c'è stato molto altro.

Un computer per tutti.. l'Apple II che aveva una mia amica di Casalcoso costosissimo ed estremamente potente, creato nel 1977 da Steve Wozniak e uscito definitivamente di produzione solo nel 1993 nella versione IIe.

E poi c’erano gli home computer (Acorn, Atari e BBC, per esempio), le prime console (ancora Atari, l’Intellivision di Mattel) e i primi P.C. compatibili, IBM nel 1981.

Ma la coppia dei due computer che ha cambiato la storia dell'informatica Sono stati il Commodore 64 e ZX Spectrum

E nessuno potrà mai rubare loro questo primato.

Nati entrambi nel 1982, basati su una architettura di processore a 8 bit e con 64 Kilobyte di memoria di serie (per il Commodore) o 16-48 per lo Spectrum (a seconda delle versioni), visti con gli occhi di oggi sono due creature preistoriche, due computer del paleolitico.

Eppure, per tutti gli anni Ottanta sono stato l'oggetto del desiderio e lo strumento più amato da due generazioni.

E ancora oggi, grazie all'amore degli appassionati e a un certo mercato sia per l'usato che per nuove produzioni software e hardware dedicate, sono ancora vivi, anche se in una loro speciale nicchia.

Impossibile descrivere tutti i dettagli tecnici e le caratteristiche che rendevano questi home computer unici..

Certo, a vederli con gli occhi di oggi, non hanno più cittadinanza di quanto non avrebbe un brontosauro in centro a Milano, visto che finalmente si possono fare quelle cose che sarebbero semplicemente fantascientifiche agli occhi di qualsiasi adolescente degli anni Ottanta... inforcare un Oculus o (tra poco) un Vision Pro, giocare in multiplayer con giochi immersivi in streaming basati sulla magia del motore di Unreal, connettersi a Internet, dialogare con ChatGPT

O, più banalmente, avere in tasca uno smartphone.

Ad ogni modo nello specifico:

il Commodore 64

La Commodore era nata, proprio come Ibm, per riparare, poi importare e infine produrre macchine per ufficio

Solo che era stata creata da un emigrato polacco di genio sopravvissuto ad Auschwitz. Jack Tramiel, che aveva fatto di tutto compreso il tassista, mentre cercava di far partire la sua startup, chiamata Commodore come il grado della Marina "per sembrare più autorevole". 

Prima di arrivare a creare il C64 aveva gia' lanciato vari prodotti, dal PET al Vic 20.

Il "suo" Commodore 64 aveva moltissime innovazioni, a partire dal processore (il 6510/8500 della Mos Technology che "andava" all'incirca a 1 MHz) e dai vari chip ausiliari compreso il generatore di onde sonore (SID) e quello per la grafica (VIC-II), ma anche molte ingenuita'.

Tramiel, padre-padrone che si era circondato di collaboratori validissimi (su tutti, Chuck Paddle) aveva tra i primi capito l'importanza dell'integrazione verticale e come la Apple di oggi che produce i suoi processori, aveva internalizzato progetto e produzione di tutti i chip-chiave del C64.

Della coppia Bartali-Coppi dell'home computer, il C64 è stato quello di maggior successo.

A oggi è il singolo modello di computer più venduto nella storia e a un certo punto l'azienda stava vendendo più computer di tutto il resto del settore combinato.

Rimasto in produzione sino al 1994, è arrivato a costare meno di tutti, ad avere più periferiche, più giochi, più software... su Internet Archive, che contiene software e manuali anche in italiano si contano almeno quindici pacchetti software di videoscrittura diverse.

È stato anche l'unico dei due ad avere un piede in casa e l'altro in ufficio, dove ha svolto un transitorio ruolo di primo "computer aziendale" per professionisti, piccole imprese o uffici locali di grandi aziende. 

Il tutto con una dotazione di memoria di 64 Kb, di cui liberi solo 32 circa, perché il resto occupato dall'interprete Basic (scritto dalla Microsoft, uno degli ultimi progetti software seguiti direttamente da Bill Gates).

Lo ZX Spectrum.

Il mio amore che reca le tracce di digitazione..


Invece, sull'altro fronte, c'è l'opera struggente di un solitario genio, per parafrasare il titolo del libro di Dave Eggers. 

Il genio è quello di Clive Sinclair, singolare talento quasi ottocentesco di inventore britannico, imprenditore seriale, uomo da rivoluzione industriale, capace di alternare le idee più pazzesche a prodotti con i fiocchi.

Questo nonostante alcune scelte scomode, di cui gli appassionati si fecero pregio. 

Come la tastiera a membrana con tasti non standard, il surriscaldamento di molti modelli, la scarissima memoria per la versione base (16Kb era troppo pochi anche all'epoca), in realtà lo Spectrum è stato il primo veramente espandibile e flessibile e con moltissimo software disponibile.

C'era il processore, lo Zilog Z80A, lo ZX Microdrive, un ingegnoso sistema di memoria magnetica esterna a cartucce, e poi unità floppy, stampanti ad aghi, schede Midi e per la sintesi vocale.

La biblioteca del software dello ZX Spectrum non ha niente da invidiare a quella del Commodore 64, anche se tra le due macchine quella che ha avuto una vita più lunga è stata la prima.

Tuttavia, lo Spectrum, che ha avuto una base di utenti enorme soprattutto nel Regno Unito in particolare (la Germania ha amato di più il Commodore 64 e la Francia (tanto per cambiare) si è trincerata invece dietro i Thomson TO7 di Vantiva), dando vita a generazioni di programmatori one-man-band, capaci di fare tutto con pochissima memoria: grafica, animazione, motore del gioco, persino la promozione.

I famosi "bedroom programmers" non nacquero però spontaneamente per caso: sia Sinclair che Tramiel si erano volutamente concentrati su hardware economico e manualistica tecnica per tutti, spingendo con un marketing intelligente non solo al consumo ma anche alla produzione di software da parte degli utenti.

Da questo punto soprattutto lo ZX Spectrum, che fu il primo computer pensato veramente per la casa e a bassissimo costo, era una specie di "social media hardware": viveva dei contenuti generati dagli utenti e da poche aziende terze, le prime software house.

Quel che resta della rivoluzione

Oggi della grande contrapposizione tra amanti del C64 e dello ZX Spectrum è rimasta solo la componente di nostalgia da reduci di un periodo storico lontano.

Veterani ormai pensionati che si ritrovano accomunati dalla stessa passione e che si sorridono quando scoprono che l'altro aveva il computer concorrente.

Entrambe le tribù all'epoca erano animate dalla scoperta di una cosa completamente nuova: il computer.

Prima dell'informatica di rete, che ha definitivamente popolarizzato l'uso del PC con Internet a partire dalla seconda metà degli anni Novanta, e poi prima della rivoluzione post-PC con gli smartphone a partire dalla fine degli anni Duemila, le ragazze e i ragazzi degli anni Ottanta sono rimasti incantati dalle prime macchine che potevano elaborare automaticamente le informazioni.

Dalle prime macchine che potevano eseguire le loro istruzioni o stupirli con giochi e software creato da altre persone come loro.

Negli anni Ottanta nacque così un fiorente mercato di riviste e libri dedicati ai computer (li conservo tutti compreso anche il Paradox), con cassette per la distribuzione del software, con case editrici storiche anche in italia come il Gruppo Editoriale Jackson.

Ma nacque anche un mercato parallelo con cassette pirata (di cui facevo parte) e fotocopie di libri e di listati di software (sempre come sopra).

Un mondo unico e irripetibile del quale si trovano per fortuna ancora tracce leggibili in rete e in pochi libri di appassionati dell'epoca, oltre a qualche progetto online come quello per la replica moderna del C64 (in versione micro e a grandezza naturale o addirittura con Android) e dello ZX Spectrum e agli emulatori software: Vice per C64 e quelli per ZX Spectrum.

Si continua a scrivere software, giochi qualche utility e soprattutto demo, mentre l'esperienza "originale" dei primi computer a 8 bit ancora non si è persa.

E se le ultime macchine funzionanti stanno lentamente rompendosi per usura dei componenti, c'è ancora chi li ripara.

Insomma, la grande storia d'amore per i due computer che hanno cambiato la storia dell'informatica e la vita di milioni di persone non è ancora finita (almeno per me) solo che nel 2020 per esigenza di spazio ho spostato nella casa marina due Spectrum zx relativi accessori, libri di programmazione, musicassette di giochi e li ho regalati ad un diciottenne patito dei vintage e della programmazione fatta in basic battendo sui tasti a 6 funzioni cad.

giovedì 14 dicembre 2023

Sixteens Tons.

 

Alcuni dicono che l'uomo è fatto di fango
Some people say a man is made outta mud

Un povero è fatto di muscoli e sangue
A poor man's made outta muscle and blood

Muscoli, sangue, pelle e ossa
Muscle and blood and skin and bones

Una mente debole e una schiena forte
A mind that's a-weak and a back that's strong

Carichi 16 tonnellate, cosa ottieni?
You load 16 tons, what do you get?

Un altro giorno più vecchio e più indebitato
Another day older and deeper in debt

San Pietro, non chiamarmi perché non posso andare
St. Peter, don't you call me 'cause I can't go

Devo la mia anima allo spaccio aziendale
I owe my soul to the company store

Sono nato una mattina quando il sole non splendeva
I was born one mornin' when the sun didn't shine

Ho preso la mia pala e sono andato alla miniera
I picked up my shovel and I walked to the mine

Ho caricato 16 tonnellate di carbone numero nove
I loaded 16 tons of number nine coal

E il capo di paglia disse: "Bene, benedici la mia anima"
And the straw boss said, "Well, a-bless my soul"

Carichi 16 tonnellate, cosa ottieni?
You load 16 tons, what do you get?

Un altro giorno più vecchio e più indebitato
Another day older and deeper in debt

San Pietro, non chiamarmi perché non posso andare
St. Peter, don't you call me 'cause I can't go

Devo la mia anima allo spaccio aziendale
I owe my soul to the company store

Sono nato una mattina, pioveva a dirotto
I was born one mornin', it was drizzlin' rain

Lotta e guai sono il mio secondo nome
Fightin' and trouble are my middle name

Sono stato cresciuto nel canneto da una vecchia mamma leone
I was raised in the canebrake by an ol' mama lion

Nessuna donna tonica può costringermi a superare il limite
Can't no high toned woman make me walk the line

Carichi 16 tonnellate, cosa ottieni?
You load 16 tons, what do you get?

Un altro giorno più vecchio e più indebitato
Another day older and deeper in debt

San Pietro, non chiamarmi perché non posso andare
St. Peter, don't you call me 'cause I can't go

Devo la mia anima allo spaccio aziendale
I owe my soul to the company store

Se mi vedi arrivare, è meglio che ti fai da parte
If you see me comin', better step aside

Molti uomini non l'hanno fatto, molti uomini sono morti
A lotta men didn't, a lotta men died

Un pugno di ferro, l'altro d'acciaio
One fist of iron, the other of steel

Se quello giusto non ti capisce
If the right one don't get you

Allora lo farà quello di sinistra
Then the left one will

Carichi 16 tonnellate, cosa ottieni?
You load 16 tons, what do you get?

Un altro giorno più vecchio e più indebitato
Another day older and deeper in debt

San Pietro, non chiamarmi perché non posso andare
St. Peter, don't you call me 'cause I can't go

Devo la mia anima allo spaccio aziendale
I owe my soul to the company store

NOI A SCUOLA SI CANTAVA COSI':


Quando Pippo se lo mena in un campo di gran

When Goofy takes Pippo to a wheat field

si leva i pantaloni con il bigolo in man

he takes off his trousers with the dick in his hand

e per godere un poco di piùuuu

and to enjoy it a little mooore

si mette un dito nel buco del cuuulll.

he puts a finger in his asshoooole.

mercoledì 13 dicembre 2023

Saturimetro.

Saturimetro Da Dito Ossimetro Per Misurare Ossigeno Pulsossimetro Portatile

Li trovate in rete con prezzi che variano da 2€ (siti cinesi) a 25€ (sempre fatti in Cina ma commercializzati in Europa)




In che modo i Saturimetri riescono a misurare la percentuale dell'ossigeno nel sangue?

Gli apparecchietti emettono un raggio infrarosso, che attraversa il dito, come quando metti il dito su una torcia, solo che l'emoglobina legata al l'ossigeno assorbe la luce in alcune frequenze, diverse da quelle assorbite dall'emoglobina "scarica". Il sensore del saturimetro percepisce il raggio ricevuto, e in base alla differenza con quello emesso, il software calcola la percentuale di emoglobina legata all'ossigeno.

Non sei ancora convinto?

Well allora cerco di spiegarla in altro modo questa ossigenazione del sangue che indica se i tuoi polmoni riescono ad assumerne in quantità sufficiente dall’aria che respiri.

Il principio di funzionamento su cui si basa il saturimetro è quello della spettrofotometria.

La sonda a forma di pinza che posizionerai sul dito, presenta due diodi fotoemittenti su un braccio della pinza ed un rilevatore sul braccio opposto.

I due diodi emettono fasci di luce a precise lunghezze d'onda che ricadono nell'intervallo della luce rossa e infrarossa (rispettivamente, 660 nm e 940 nm).

Ora, hai posizionato la pinza sul dito e quindi i fasci luminosi emessi dalle due sorgenti attraverseranno tutti i tessuti dello stesso, fino a giungere al rilevatore posizionato sull'altro braccio della stessa sonda, all'estremità opposta del dito.

Durante il "tragitto" effettuato dalle radiazioni luminose , queste vengono assorbite dall'emoglobina:

  • L'emoglobina legata all'ossigeno (ossia, l'ossiemoglobina - HbO2) assorbe soprattutto nella luce infrarossa;

  • L'emoglobina non legata (Hb), invece, assorbe soprattutto nella luce rossa.

Sfruttando questa differenza di assorbimento fra l'emoglobina legata all'ossigeno e quella non legata, misurando e analizzando la differenza fra la quantità di radiazione luminosa emessa dai diodi e quella finale rilevata dal rilevatore, l'unità di calcolo è in grado di elaborare e infine fornire il valore di saturazione di ossigeno che verrà visualizzato sul display dell'apparecchietto.

martedì 12 dicembre 2023

CNH Village

 


 

CNH Industrial è un nome che dice poco ai più.

La holding, nata da meno di una decina d’anni, racchiude le eredità industriali di Iveco, New Holland e Case, le quali a loro volta hanno riunito moltissimi marchi di camion (Fiat, Lancia, OM, Spa, Ceirano, Magirus, Pegaso, Unic e altri ancora), trattori e macchine movimento terra (fra cui Fiat, Case, Steyr, New Holland, Simit…).

Il CNH Industrial Village di Torino, strada Settimo 335, ospita una galleria storica con una collezione formata da veicoli recuperati dalla stessa azienda o messi a disposizione da privati.

Mezzi che hanno fatto la guerra. Seppure di dimensioni relativamente ridotte (2300 m2), la collezione offre un buon excursus sui marchi italiani del gruppo, con una quarantina fra camion, autobus, macchine agricole e movimento terra che ben rappresenta il periodo dalla Prima guerra mondiale agli anni Ottanta.

Si parte dai camion Fiat 18BL, che ebbero un ruolo importantissimo nella Grande guerra con l’esercito italiano e i suoi alleati; sullo stesso fronte combatteva l’Unic M1A.

Si prosegue poi con l’autobus Fiat 507 carrozzato da Orlandi a fine anni Venti e i coevi trattori Fiat 700A e 700B a petrolio.

Dello stesso periodo la trattrice articolata Pavesi-Tolotti P4, l’autoscala Spa 25C10 usata nel 1936 per spegnere il grande incendio del Teatro Regio di Torino e l’autobus Lancia Omicron, nato in origine con un potente motore bialbero a benzina poi sostituito dalla stessa Lancia con un Diesel a tre cilindri e de tempi; quello esposto è l’ultimo sopravvissuto, convertito negli anni Cinquanta come carro assistenza per gli autobus di Roma.

Tra potenza e raffinatezza. La trattrice d’artiglieria Spa 37 e i camion Spa 38R e Lancia 3Ro 564 ci portano agli anni del secondo conflitto mondiale e della Liberazione, traghettandoci verso il boom economico.

I tre rappresentanti più famosi di quest’epoca sono il piccolo Fiat 615, un “tuttofare” con la meccanica della berlina 1400, il medio OM Leoncino (quello esposto è una quinta serie degli anni Sessanta) che rimase in produzione dal 1951 al 1975 anche in versione 4x4, e il Re d’Africa, il Fiat 682.

Nato nel 1952, si affermò in mezzo mondo per la sua semplicità e robustezza; la richiesta dei mercati africani lo fece mantenere in produzione fino al 1986, anno in cui uscì l’ultimo esemplare, conservato nella collezione.

Senza fronzoli anche l’OM Tigre, con un motore a quattro cilindri nonostante le dimensioni medio-grandi; la meccanizzazione agricola di massa è rappresentata dai piccoli Fiat 211R e 25RD.

Contraltare alla semplicità di 682 e Tigre sono i raffinati Lancia esposti al loro fianco: l’Esatau 864, ultimo camion italiano stradale con il musone, e il ricercato Esatau B 503 (il suo disegno è attribuito, non ufficialmente, al grande Raymond Loewy), pensato per offrire visibilità e confort per le tratte internazionali, lungo le quali poteva incontrare il simpatico musetto Magirus Sirius 85D10.